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Il diritto dei palestinesi alla resistenza e la pretesa di autodifesa di Israele

L’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, iniziata il 7 ottobre 2023, ha causato una distruzione e una perdita di vite umane sconcertanti. Con oltre 61.200 palestinesi uccisi - di cui circa l’80% civili - intere città come Rafah rase al suolo e l’80% delle infrastrutture di Gaza distrutte, inclusi ospedali, scuole e sistemi idrici, l’offensiva non può essere classificata come una “guerra” convenzionale. Piuttosto che un conflitto armato tra due stati sovrani, si tratta di un assalto da parte di una potenza occupante contro una popolazione civile sotto il suo controllo. Questo saggio sostiene tre punti giuridici interconnessi: (1) i palestinesi hanno un diritto riconosciuto dal diritto internazionale a resistere all’occupazione; (2) Israele, in quanto potenza occupante, non può legalmente invocare l’autodifesa ai sensi dell’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite per giustificare la sua campagna militare a Gaza; e (3) le azioni di Israele costituiscono ripetute e gravi violazioni del diritto internazionale, inclusa l’occupazione illegale, l’apartheid e il sistematico disprezzo per le norme giuridiche.

Il diritto dei palestinesi a resistere all’occupazione

Il diritto a resistere all’occupazione straniera è fermamente radicato nel diritto internazionale. Deriva dal principio di autodeterminazione, sancito dall’Articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR) e dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (ICESCR). Per i palestinesi, che vivono sotto l’occupazione israeliana dal 1967 in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, questo diritto ha un’urgenza particolare.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha confermato la legittimità della resistenza in diverse risoluzioni. La Risoluzione 37/43 (1982) dichiara “la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio coloniale e straniero e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, inclusa la lotta armata”. Inoltre, l’Articolo 1(4) del Protocollo Aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra (1977) riconosce i conflitti armati che coinvolgono popoli che resistono all’occupazione straniera o al dominio coloniale come conflitti armati internazionali, conferendo a tali lotte legittimità secondo il diritto umanitario internazionale (IHL).

Sebbene Israele abbia formalmente ritirato i suoi insediamenti da Gaza nel 2005, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha ribadito nel suo Parere Consultivo di luglio 2024 che Gaza rimane occupata secondo il diritto internazionale, data l’effettiva capacità di controllo di Israele sui suoi confini, spazio aereo e accesso marittimo. Questo status giuridico attiva il diritto del popolo palestinese a resistere=all’occupazione.

L’incapacità di Israele di invocare l’autodifesa contro un territorio occupato

Israele invoca frequentemente l’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite per giustificare le sue azioni militari come autodifesa. Tuttavia, questa razionale giuridica non è applicabile nel contesto di un territorio occupato. Il Parere Consultivo del 2004 della ICJ su Le conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nel territorio palestinese occupato ha chiarito che l’autodifesa ai sensi dell’Articolo 51 si applica solo in risposta a un attacco armato da parte di un altro stato. La Corte ha dichiarato inequivocabilmente:

“L’Articolo 51 della Carta… non ha rilevanza in questo caso, poiché Israele non sostiene che gli attacchi contro di esso siano imputabili a uno stato straniero.” (ICJ, 2004, par. 139)

Invece, in quanto potenza occupante, Israele è vincolato dalla Quarta Convenzione di Ginevra (1949), che regola i suoi obblighi verso la popolazione occupata. Questi includono la protezione dei civili (Articoli 27 e 33), il divieto di punizione collettiva e l’obbligo di garantire l’accesso a risorse essenziali come cibo, acqua e assistenza medica (Articoli 49 e 55).

La condotta militare di Israele a Gaza viola palesemente questi obblighi. La morte di oltre 61.200 palestinesi - la maggior parte donne e bambini - insieme alla distruzione dell’80% delle abitazioni, ospedali e scuole, non può essere giustificata con alcuna razionale di sicurezza legittima. L’assedio e il blocco di Gaza, in atto dal 2007, costituiscono una punizione collettiva secondo l’IHL e sono stati condannati come tali dalla Missione d’Inchiesta自主0;Inchiesta delle Nazioni Unite sul Conflitto di Gaza (2009) e riaffermati da Amnesty International nel 2024.

Particolarmente grave è stato l’assalto a Rafah del maggio 2024, lanciato in sfida alle misure provvisorie emesse dalla ICJ nel caso di genocidio Sudafrica contro Israele. L’operazione ha sfollato 1,2 milioni di palestinesi e chiuso il valico di Rafah - il principale punto di accesso per gli aiuti umanitari - aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. La distruzione dell’ambiente e delle infrastrutture agricole di Gaza, inclusi l’80% della vegetazione, il 70% dei terreni agricoli, il 47% dei pozzi d’acqua sotterranea e il 65% dei serbatoi d’acqua, viola l’Articolo 55 della Quarta Convenzione di Ginevra, che impone alla potenza occupante di garantire cibo e forniture mediche alla popolazione.

Violazioni ripetute ed erosione delle norme giuridiche

Le politiche di Israele nel Territorio Palestinese Occupato (OPT) rivelano un modello coerente di violazione del diritto internazionale e di disprezzo per gli obblighi giuridici, mentre condanna altri per comportamenti simili. Queste violazioni sono evidenti in tre aree principali:

Espansionismo e insediamenti illegali

Secondo l’Articolo 49(6) della Quarta Convenzione di Ginevra, il trasferimento della popolazione dell’occupante nel territorio occupato è proibito. Tuttavia, Israele ha autorizzato la costruzione di quasi 24.000 unità abitative per coloni in Cisgiordania tra il 2009 e il 2020 e controlla oltre 675.000 dunam di terra della Cisgiordania per gli insediamenti. Queste azioni hanno frammentato il territorio palestinese, minando la fattibilità di un futuro stato palestinese.

Il Parere Consultivo del 2024 della ICJ ha riaffermato l’illegalità di questi insediamenti e ha ordinato a Israele di smantellarli e porre fine all’occupazione entro settembre 2025. Inoltre, l’uso sproporzionato da parte di Israele delle risorse naturali condivise, inclusa l’esploazione del 90% dell’approvvigionamento idrico dell’Acquifero Montano, viola i divieti dell’IHL sull’esploazione delle risorse nei territori occupati.

Apartheid come crimine contro l’umanità

Organizzazioni internazionali per i diritti umani - tra cui Amnesty International (2022) e Human Rights Watch (2021) - hanno determinato che le politiche di Israele equivalgono all’apartheid secondo il diritto internazionale. La Convenzione sull’Apartheid del 1973 e l’Articolo 7(2)(h) dello Statuto di Roma definiscono l’apartheid come un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica di un gruppo razziale su un altro.

Il regime di Israele soddisfa questa definizione:

La sentenza del 2024 della ICJ ha confermato la designazione di apartheid, citando la dominazione e l’oppressione sistematica come giuridicamente stabilite.

Uso indiscriminato e sproporzionato della forza militare

La condotta militare di Israele a Gaza viola ripetutamente i principi dell’IHL di distinzione, proporzionalità e necessità. Crimini di guerra specifici ai sensi dell’Articolo 8 dello Statuto di Roma includono:

Esempi includono:

Queste azioni rendono gran parte di Gaza inabitabile, soddisfacendo i criteri per la pulizia etnica e plausibilmente per il genocidio, come notato dalla ICJ nel gennaio e maggio 2024.

Doppi standard ed eccezionalismo giuridico

Nonostante le sue violazioni, Israele contesta regolarmente l’applicabilità del diritto internazionale. I funzionari israeliani sostengono che la Cisgiordania e Gaza siano territori “contesi”, non occupati, e respingono le sentenze della ICJ come non vincolanti. Tuttavia, Israele invoca frequentemente il diritto internazionale per condannare altri, come l’Iran, Hezbollah o la stessa ICC. Questa aderenza selettiva erode lo stato di diritto e ostacola una responsabilità significativa, specialmente data la costante protezione di Israele attraverso i veti degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Conclusione

L’offensiva militare di Israele a Gaza, lungi dall’essere un atto legittimo di autodifesa, costituisce una grave e continua violazione del diritto internazionale. In quanto potenza occupante, Israele non ha il diritto legale di condurre una guerra contro la popolazione che controlla. Il diritto dei palestinesi a resistere all’occupazione è sancito dal diritto internazionale, anche se tale resistenza deve conformarsi alle norme umanitarie. Le violazioni sistematiche di Israele - inclusi crimini di guerra, punizione collettiva, apartheid ed espansionismo - richiedono un’urgente responsabilità internazionale. Le sentenze della ICJ del 2024, insieme alle crescenti prove fornite dalle organizzazioni per i diritti umani, rendono chiaro che l’impunità non può più essere tollerata. Sostenere il diritto internazionale richiede che le azioni di Israele non siano trattate come eccezionali, ma come criminali - e che i complici, inclusi gli stati stranieri, siano ritenuti ugualmente responsabili ai sensi della Convenzione sul Genocidio, dello Statuto di Roma e dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

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