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Gaza: Mai Più Ora - Un Appello Disperato per un Intervento Militare

“Il crimine di genocidio non è solo un crimine contro un popolo - è un crimine contro l’umanità.”
Segretario Generale delle Nazioni Unite, 2004

La situazione a Gaza ha raggiunto un punto critico in cui l’intervento militare non è solo legalmente permesso, ma obbligatorio secondo il diritto internazionale. Il blocco continuo di Israele e le operazioni militari hanno creato una catastrofe umanitaria, con la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) che ha identificato un “rischio plausibile” di genocidio. Diplomazia, sanzioni e decisioni legali non sono riuscite a modificare il comportamento di Israele, rendendo l’intervento militare l’unica opzione praticabile per prevenire ulteriori atrocità. Questo argomento si basa sugli obblighi di Israele secondo il diritto umanitario internazionale (IHL), le decisioni dell’ICJ, il dovere di prevenire il genocidio, il diritto all’autodifesa collettiva, la dottrina della Responsabilità di Protezione (R2P) e lo status legale delle acque territoriali di Gaza. Sebbene Israele e i suoi alleati - Stati Uniti, Regno Unito e Germania - condanneranno tale azione, il sostegno di Russia e Cina, combinato con i procedimenti in corso dell’ICJ, fornisce un solido percorso legale e geopolitico.

Obblighi di Israele come Potenza Occupante

In qualità di potenza occupante a Gaza, Israele è vincolato dalla Quarta Convenzione di Ginevra (1949), che impone specifici doveri per proteggere la popolazione civile. L’articolo 55 della Convenzione stabilisce:

“Nella misura massima dei mezzi a sua disposizione, la Potenza Occupante ha il dovere di garantire cibo e forniture mediche alla popolazione; in particolare, dovrebbe portare i generi alimentari, le scorte mediche e altri articoli necessari se le risorse del territorio occupato sono inadeguate.”

Il blocco di Israele, che limita cibo, forniture mediche ed essenziali, viola questo obbligo. Dopo 143 giorni di assedio, Gaza ha esaurito tutte le riserve ed è ora in una carestia di livello IPC 4 (emergenza) / livello 5 (catastrofico). Il fallimento di Israele nel consentire l’aiuto umanitario come richiesto dalla Convenzione di Ginevra fornisce una giustificazione fondamentale per un intervento per ripristinare l’accesso e proteggere i civili.

Genocidio Secondo la Convenzione: Distruzione Deliberata Attraverso le Condizioni di Vita

La Convenzione sul Genocidio del 1948, articolo II, lettera c, definisce il genocidio come:

“Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica, in tutto o in parte.”

L’assedio di 143 giorni di Israele, il divieto a UNRWA e l’affidamento al mortale sistema di distribuzione degli aiuti di GHF, esemplifica ciò. Le morti di 1.021 persone e le ferite di 6.511 nei punti di distribuzione, insieme all’attacco dell’IDF del 20 luglio 2025 a un convoglio del Programma Alimentare Mondiale - che ha ucciso 94 persone e ferito 150 - dimostrano l’intento di ostacolare la sopravvivenza. Il danno irreversibile di una carestia di livello IPC 5, particolarmente sui bambini, sottolinea la natura genocida di queste condizioni.

Misure Provvisorie dell’ICJ che Impongono Aiuti Umanitari

Nel caso Sud Africa contro Israele (2024), l’ICJ ha emesso misure provvisorie in risposta alla richiesta del Sud Africa ai sensi della Convenzione sul Genocidio, rilevando un “rischio plausibile” di genocidio a Gaza a causa delle operazioni militari e del blocco di Israele. La Corte ha ordinato a Israele di:

“Adottare tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione di tutti gli atti nell’ambito dell’articolo II della Convenzione [sul Genocidio]” e “permettere la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari.”

La continua restrizione degli aiuti da parte di Israele e l’escalation delle operazioni militari dimostrano la non conformità a queste misure vincolanti. Questa sfida crea una base legale per un intervento militare per far rispettare la decisione dell’ICJ e garantire l’accesso umanitario.

La Sentenza LaGrand: Le Misure Provvisorie Sono Obbligatorie

La natura vincolante delle misure provvisorie dell’ICJ è stata stabilita in LaGrand (Germania contro Stati Uniti, 2001), dove la Corte ha stabilito:

“Le misure provvisorie indicate dalla Corte sono vincolanti per le parti.”

Il fallimento di Israele nel rispettare le misure provvisorie del 2024 è una violazione del diritto internazionale. Il precedente LaGrand sottolinea che gli Stati non possono ignorare gli ordini dell’ICJ senza conseguenze, giustificando un intervento militare per far rispettare la conformità e proteggere la popolazione di Gaza.

Bosnia contro Serbia: Dovere di Prevenire il Genocidio

La decisione dell’ICJ in Bosnia ed Erzegovina contro Serbia e Montenegro (2007) impone un chiaro obbligo agli Stati di agire quando sono consapevoli di un grave rischio di genocidio. La Corte ha stabilito:

“Uno Stato… ha l’obbligo di impiegare tutti i mezzi ragionevolmente disponibili per prevenire il genocidio, per quanto possibile, quando è a conoscenza di un grave rischio che il genocidio venga commesso.”

La constatazione dell’ICJ di un “rischio plausibile” di genocidio a Gaza attiva questo dovere. Quando le misure non militari - diplomazia, sanzioni e procedimenti legali - falliscono, l’intervento militare diventa un passo lecito e necessario per prevenire il genocidio, come richiesto dalla sentenza Bosnia.

Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite: Autodifesa Collettiva

L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite afferma il diritto intrinseco degli Stati all’autodifesa, inclusa l’autodifesa collettiva, stabilendo:

“Nulla nella presente Carta pregiudicherà il diritto intrinseco di autodifesa individuale o collettiva se si verifica un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fino a quando il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali.”

Questo diritto non è limitato agli Stati membri delle Nazioni Unite né vincolato da altre disposizioni della Carta. Il blocco e le operazioni militari di Israele costituiscono un attacco armato continuo contro la popolazione di Gaza. La natura intrinseca di questo diritto consente agli Stati di agire in autodifesa collettiva, anche senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), specialmente quando il Consiglio è paralizzato dai veti degli Stati Uniti. Ciò fornisce un percorso legale per un intervento militare per respingere le azioni di Israele e proteggere i civili.

Riconoscimento della Palestina: Rafforzamento dell’Articolo 51

Lo status della Palestina rafforza il caso per l’autodifesa collettiva. Riconosciuta da oltre 140 Stati e concesso lo status di Stato osservatore non membro dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2012 (Risoluzione 67/19), la Palestina gode di un ampio ma incompleto riconoscimento internazionale. Il diritto internazionale manca di una regola definitiva sullo status di Stato, secondo la Convenzione di Montevideo (1933), che elenca criteri come territorio, popolazione, governo e capacità di relazioni estere. Il riconoscimento della Palestina la stabilisce come un’entità legittima sotto attacco, consentendo ad altri Stati di invocare l’autodifesa collettiva ai sensi dell’articolo 51 per suo conto, in particolare alla luce delle azioni illegali di Israele contro Gaza.

Responsabilità di Protezione (R2P): Un Mandato per l’Azione

La dottrina R2P, approvata nel Documento Finale del Vertice Mondiale del 2005, fornisce ulteriore supporto per l’intervento. Essa delinea tre pilastri: - Pilastro I: “Ogni Stato individuale ha la responsabilità di proteggere le sue popolazioni da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità.” - Pilastro II: “La comunità internazionale ha la responsabilità di incoraggiare e assistere gli Stati individuali nel soddisfare tale responsabilità.” - Pilastro III: “Se uno Stato fallisce manifestamente nel proteggere le sue popolazioni, la comunità internazionale deve essere pronta a intraprendere un’azione collettiva appropriata.”

Israele, come potenza occupante, ha fallito nel proteggere la popolazione di Gaza (Pilastro I). Gli sforzi internazionali attraverso la diplomazia e le sanzioni sono stati bloccati o inefficaci (Pilastro II), attivando il Pilastro III, che include l’intervento militare come risposta lecita quando uno Stato fallisce manifestamente nel proteggere la sua popolazione. Data la paralisi del Consiglio di Sicurezza, gli Stati sono giustificati ad agire collettivamente secondo il R2P.

Acque Territoriali di Gaza: Ripristino dei Diritti Palestinesi

Israele non rivendica Gaza come suo territorio, il che ha significative implicazioni per la legalità di un intervento militare nelle acque territoriali di Gaza. La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS), articolo 2, stabilisce:

“La sovranità di uno Stato costiero si estende, oltre il suo territorio terrestre e le sue acque interne, a una cintura di mare adiacente, descritta come mare territoriale.”

Poiché Israele non rivendica la sovranità su Gaza, non ha basi legali per controllare le acque territoriali di Gaza (fino a 12 miglia nautiche) o imporre un blocco su di esse. L’opinione consultiva dell’ICJ del 2024 ha dichiarato l’occupazione di Israele dei territori palestinesi illegale, indebolendo ulteriormente la sua pretesa di controllare le acque di Gaza. Un intervento militare per rompere il blocco e consegnare aiuti umanitari non è un’aggressione territoriale contro Israele, poiché non sfida una legittima rivendicazione territoriale. Al contrario, ripristina i diritti dei palestinesi sulle loro acque territoriali secondo il diritto internazionale, esentandolo dall’approvazione del Consiglio di Sicurezza secondo le disposizioni che proteggono l’integrità territoriale.

L’Incidente della Madleen: Pirateria al Servizio del Genocidio

Una delle dimostrazioni più chiare dell’intento di Israele di affamare Gaza fino alla sottomissione è avvenuta lontano dalle sue coste. Le forze navali israeliane hanno intercettato la Madleen, una nave della Freedom Flotilla con bandiera britannica che trasportava aiuti umanitari, a oltre 160 miglia nautiche dalla costa - ben all’interno delle acque internazionali. A bordo c’erano dodici attivisti civili, tra cui Greta Thunberg e l’eurodeputata francese Rima Hassan.

Le forze israeliane sono salite a bordo della nave con la forza, hanno detenuto gli attivisti e confiscato tutti gli aiuti - un atto che si qualifica come pirateria secondo l’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS):

“Qualsiasi atto illegale di violenza o detenzione, o qualsiasi atto di depredazione, commesso per fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave privata… in alto mare contro un’altra nave.”

Questo atto di aggressione non è stato un incidente isolato - è stata una chiara affermazione dell’intento di Israele di bloccare ogni aiuto umanitario, anche quando proviene da navi riconosciute a livello internazionale in acque neutrali. Il dirottamento della Madleen non solo ha violato il diritto marittimo internazionale, ma dimostra ulteriormente il vero obiettivo dell’assedio: negare ai 2 milioni di residenti di Gaza l’accesso ai bisogni più basilari della vita.

Attaccando gli sforzi umanitari lontano dalla sua giurisdizione dichiarata, Israele ha smascherato l’assedio come non una misura di sicurezza, ma una campagna di fame e intimidazione. L’incidente sottolinea l’urgenza di un intervento militare per ripristinare i diritti marittimi palestinesi e garantire la consegna sicura di aiuti salvavita.

Supporto Geopolitico e Strategia Legale

Qualsiasi intervento militare per rompere il blocco di Israele su Gaza incontrerà una feroce opposizione politica da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Germania. Questi Stati hanno costantemente difeso le azioni di Israele e bloccato le misure di responsabilità alle Nazioni Unite. Tuttavia, la marea globale sta cambiando. La gravità della crisi a Gaza - e la palese sfida di Israele al diritto internazionale - ha creato spazio per una nuova coalizione di Stati per agire.

Russia e Cina, sebbene improbabile che guidino uno sforzo militare, hanno pubblicamente condannato l’assedio di Israele e sostenuto i diritti palestinesi nei forum internazionali. Entrambi detengono il potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) e potrebbero bloccare qualsiasi risoluzione volta a criminalizzare l’intervento umanitario. Questo rispecchia la stessa copertura politica che gli Stati Uniti hanno fornito a Israele negli ultimi 21 mesi. Il precedente geopolitico è chiaro: i poteri di veto sono usati per proteggere gli alleati, non per far rispettare una giustizia imparziale.

Gli Stati che intervengono potrebbero affrontare sfide legali, inclusi tentativi di dipingere tale azione come un’aggressione illegale. Tuttavia, la base legale dell’intervento - nelle misure provvisorie dell’ICJ, nella Convenzione sul Genocidio e nella dottrina della Responsabilità di Protezione (R2P) - rende tali sfide deboli e poco convincenti. L’ICJ ha già riscontrato un “rischio plausibile di genocidio” a Gaza e ha ordinato a Israele di consentire gli aiuti umanitari. Un intervento progettato per far rispettare questo mandato non è una violazione del diritto internazionale - è il suo adempimento.

Inoltre, il caso di genocidio in corso dell’ICJ contro Israele probabilmente confermerà gravi violazioni della Convenzione sul Genocidio, legittimando ulteriormente qualsiasi intervento volto a fermare le atrocità di massa e ripristinare l’accesso umanitario. Gli Stati che agiscono ora non saranno solo dalla parte giusta della storia - saranno dalla parte giusta della legge.

Conclusione: Un Imperativo Legale e Morale

Il diritto internazionale richiede azione quando la minaccia di genocidio è reale - e a Gaza, quella minaccia non è più teorica. Il blocco di Israele, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, e la sua aperta sfida alle misure provvisorie vincolanti dell’ICJ, forniscono molteplici basi legali sovrapposte per un intervento militare immediato.

Gli Stati Uniti hanno usato il loro potere di veto per proteggere Israele dalla responsabilità. Ora, Russia e Cina - entrambi forti sostenitori dei diritti palestinesi - possono ricambiare il favore proteggendo qualsiasi coalizione umanitaria dalle ritorsioni del Consiglio di Sicurezza. Le misure provvisorie dell’ICJ, e il probabile esito del suo caso di genocidio in corso, forniscono un quadro legale che legittima e giustifica retroattivamente l’intervento per far rispettare il diritto internazionale e salvare vite.

Aspettare una sentenza definitiva sul genocidio prima di agire sarebbe come chiedere ai vigili del fuoco di aspettare un rapporto sull’incendio doloso mentre una casa brucia.

Per troppi a Gaza, è già troppo tardi. Ma il peggio può ancora essere evitato - se anche solo pochi Stati agiscono con coraggio, decisione e chiarezza di coscienza.

Questo non è il momento per altre dichiarazioni. È il momento per navi, per convogli, per protezione.
È il momento di rompere l’assedio.

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